1. Esperienza Lesbica

    AvatarBy Ares il 27 April 2014
     
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    quello che ho vissuto con Feliciana mi ha aperto nuovi orizzonti, ma che dico aperti, me li ha divaricati! Non è mai stato un mistero per me l’attrazione, io sono una virtuosa del corteggiamento, posso permettermi di sedurre chiunque voglia o quasi, con il corpo gagliardo che mi ritrovo. Mi piace camminare per Milano sentendo gli sguardi di uomini e donne che mi desiderano e mi pretendono, e questo autocompiacimento lo immagazzino dentro di me, rinfocola la mia voglia, ricarica il mio desiderio, una forma di feedback che mi fa restare sempre accesa. Non mi vesto mai in modo indecente o vistoso, neanche d’estate amo scoprirmi troppo; l’idea di non portare la biancheria mi fa ridere, è pietosa, non rinuncerei mai, io che sono carioca, a ripartire l’equatore del mio culo con un tanga che lascio indovinare, da sotto gli abiti, agli intenditori. I miei fianchi sono prepotenti, arroganti, e vengono scusati solo dal mio metro e ottanta di incontrovertibile femminilità italo-brasiliana, che fa girare chiunque per strada. Io sono Rio, mi dice sempre Valentim, quando mi sdraio bocconi divento Rio, il mio culo granitico e superbo è il Pan-di-Zucchero, la mia schiena dorata e arcuata è sabbia liscia come Copacabana e le mie braccia tese il ponte Niteròi. Mi piace farmi visitare, mostrare le mie attrazioni a chi dimostra di apprezzarle. Ma non avevo premeditato di rivelarmi ad una donna. Feliciana, collega di università (io insegno storia brasiliana e sono una specialista della storia della navigazione), una quarantenne distinta, alta, dal portamento aristocratico. Non sospettavo che mi ammirasse, che scrutasse le linee del mio corpo con desiderio. Era stato Valentim a farmelo capire, lui di queste cose ne sa anche più di me. Non so come, ma questa cosa mi aveva smosso dentro. Mi ero sentita sfidata su un campo sconosciuto e sentivo urgere il desiderio dell’esplorazione. Sarei stata il bandeirante di me stessa, affrontando a colpi di machete la selva ignota del desiderio. Non volevo commettere errori, né offendere Feliciana, né fraintendere la misura del suo desiderio, inesperta di quanto una donna potesse volere da un’altra donna, che io quello che vuole un uomo da me, posso dire di saperlo benissimo, anche più di lui. Ma lei ed io? Approfittai dell’occasione di una conferenza sulla navigazione atlantica nel XX secolo, a cui avremmo partecipato tutti quanti, per invitarla a cena, con la scusa che il mio intervento sarebbe terminato sul tardi. Sapevo che avrebbe accettato, tanto più che Feliciana non abitava in città e la compagnia e l’ospitalità di una collega non l’avrebbe disdegnata in nessun caso. Durante la conferenza mi accorsi di come punteggiava la conversazione di piccoli commenti sul mio lungo abito estivo, sui miei sandali (io ho dei piedi che sono due sculture), facendomi complimenti per il gioiello, o chiedendomi dove avevo comprato quel foulard che mi donava tanto al collo. Ed ogni commento era una scusa per sfiorarmi, con gesti di una delicatezza che li rendeva quasi impercettibili. Valentim aveva colto nel segno, il gran corruttore! Feliciana si stava dimostrando più espansiva e cordiale di quanto non si fosse mai dimostrata in facoltà e, quando la conferenza terminò, le confermai la mia intenzione di portarla a cena. Quando salimmo sul taxi la colsi in contropiede dicendo all’autista di portarci nel più costoso ristorante brasiliano di Milano, decisione alla quale Feliciana volle opporsi, dicendo che non poteva permettere che io la invitassi in un posto tanto caro. La zittii appoggiandole una mano sulla gamba, e le dissi: “Non ti devi preoccupare, questa è un’occasione speciale”. Colta in contropiede dal mio gesto e dalle mie parole, Feliciana domandò: “ma Francesca, non pensavo ci fosse una qualche occasione..”. “L’occasione qualche volta va creata, dico bene?!”. E, sebbene tremassi un po’ per l’eccitazione del rischio, vidi che la mia risposta aveva fatto centro, e lo sguardo interrogativo di Feliciana si era trasformato in uno sguardo più luminoso, carico di aspettative, che io in cuor mio speravo di poter soddisfare. La tensione in quel taxi era una cosa reale, densa, e sentii di doverla rompere in qualche modo, ma temevo di sbagliare, di dire o fare qualcosa di troppo, e ripiegai su questa idea: “se preferisci possiamo ordinare qualcosa da portare a casa, vuoi?”. I suoi occhi tremuli vibrarono e rispose di si con un cenno della testa. Io abbassai lo sguardo sul vestito di lei ed immaginai come dovesse essere sotto di esso, il suo doveva essere un corpo ancora ben fatto e snello. Quando discesi dal taxi ed entrai nel ristorante per l’ordine, lei mi seguì stando un passo indietro, e sentii come i suoi occhi mi stavano sollevando l’abito, tirando l’elastico delle mutandine, solleticando il seno. E io mi offrivo con piacere al suo sguardo. Comprammo salgadinhos, batata frita e birra Brahma. Quando arrivammo a casa mi gettai sul cibo, altra mia grande passione, per acquietare il languore che, strada facendo verso il mio appartamento, era aumentato fino a divenire un fuoco. Anche Feliciana dirottò la sua voglia sul cibo fragrante e robusto, come immaginai fosse il suo sesso, ed a quel pensiero mi accorsi di essermi eccitata profondamente e di fissarla come se fosse la portata successiva. Feliciana se ne accorse, come del mio veloce sviare lo sguardo. Si fece più sotto la tavola e mi toccò il ginocchio: “ti devo ringraziare davvero, è raro per me cenare con qualcuno, qui a Milano”. “Anche per me, tante volte sai, non ringraziarmi”. “Scherzi? Una bella ragazza giovane, come sei tu, chissà quanta compagnia deve avere..”. “Non sempre quella che uno desidera, sai?”, le sussurrai, e mentre lo dicevo, accarezzai la sua mano. Lei me la strinse forte, e per un attimo mi si fermò il cuore, io che con gli uomini avevo commesso quanto di più mirabolante, sentivo in me il senso di peccato. Ed era una cosa eccitante da morire. Feliciana mi guardava negli occhi ma non languidamente, era una pantera amazzonica adesso, ed io ambivo ad essere la sua preda. “Assaltami, Feliciana”, mi sorpresi a dire, e lei non capì subito, ma la direzione della mia mano sul suo avambraccio le chiarì il senso della mia esclamazione. Ci alzammo e andammo nel salotto, dove ci trovammo ad essere una davanti all’altra, eccitate, turgide sotto, frementi come cavalle brade. Feliciana mi infilò le mani nella scollatura e prese a carezzarmi con le dita tremanti per l’eccitazione. Poi mi sbottonò l’abito, e ad ogni bottone che staccava, silenziosa e decisa, sentivo un tuffo al cuore e la mia figa ululare di desiderio, una caldaia in procinto di esplodere, spezzando in due la nave. Sentivo l’umore colare sulle gambe, ero bagnatissima e sconvolta da me stessa. Intanto Feliciana mi aveva tolto l’abito, e, in ginocchio, aveva preso a coprirmi di baci le gambe, mordicchiandole, talvolta, ed io non ressi più: crollai in ginocchio dinanzi a lei ed implorai che mi scopasse a morte, gridavo che non avevo mai provato nulla di simile e lei, compiaciuta ed estasiata dalla sua conquista inattesa (ma lo era poi, inattesa?), mi faceva scivolare le mani ovunque. Mi sentivo gagliarda, durissima, volevo donare tutti i miei fianchi ed il mio seno alla causa lesbica, godere senza ritegno. Ero tutta là, tutta sua, la donna per eccellenza, ero la femmina espansa. Mi sottrasse il tanga con un gesto rapido ed esperto e affondò il suo viso nella mia vulva assetata di carne, e compose con la sua bocca poemi di piacere nella mia natura bagnata. Quando si ritrasse avvertii un bisogno di crollare, ma lei ritornò a prendere possesso del clitoride con le dita e le labbra, senza darmi tregua, e partii non una, ma due, tre volte, soffocando guaiti disperati. Poi mi afferrò per i capelli, selvaggia, regina Tupi insolente che voleva riconosciuto il suo onore, e mi tuffò la faccia sulla sua fica prosperosa e grondante. Non avevo mai immaginato quanto fosse divino mordere quel frutto croccante, guaranà succoso il cui nettare mi scorreva sul volto, come quando da bambina mi sbrodolavo tutta mangiandolo. Volevo scoparla con la lingua, ero in preda ad una foga incontrollabile, mentre lei cercava ancora la mia mietitrice di uomini, artigliandola con le unghie. La mia fica riprese a scaldarsi ed a vibrare, eccola di nuovo, turbina inarrestabile e poderosa, a girare vorticosamente. Feliciana mi fece sdraiare, impedendomi di farla godere sulla mia faccia come anelavo. Iniziò a percorrermi con la lingua, tessendomi addosso un autentico e lussuoso pigiamino di saliva, eccomi, regina della notte detronizzata dalla sua bocca avida. Ero giunta al deliquio mentale quando si risollevò e con un gesto imperioso. Afferratemi le caviglie, mi spalancò le gambe e mi costrinse a girarmi su un fianco. Lei ormai, comandando la navigazione, si mise a cavalcioni sulla mia coscia, e la percorse fino a far scontrare le due prue roride di piacere. L’incontro fu un delirio di scintille, uno scontro immane, una collisione di navi nella notte, il suo viso di polena sulla caravella che conduceva manovre di piacere nel mio porto. Le mie gambe come le colonne d’Ercole oltre le quali si apriva il gorgo del piacere proibito. Disperata, giunsi a quello che mai avevo creduto possibile, un piacere devastante, fu il crollare dell’impero per vana cupidigia, lo schianto dello scafo nel momento del naufragio, l’oceano salato e furioso, poi l’orgasmo fu tale che quasi persi la nozione di me e diventai un groviglio solo, clamoroso, con la creatura che mi faceva questo. Il giorno dopo non avevo nemmeno la forza di strizzare il tubetto del dentifricio, esausta e consumata nella fibra, non avevo mai bruciato tanto di me stessa in un atto di piacere. Purtroppo Feliciana si trasferì poche settimane dopo in un’altra sede universitaria, per lei più comoda, e non la vedo più da un paio di anni, pur essendo rimaste in buoni rapporti. Tuttavia non so se avrei ripetuto ancora l’esperienza, preferivo che quella serata meravigliosa restasse un unicum, un racconto fantastico di marinai nella mia picara vita amorosa…..
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